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Commenti alla normativa

COMMENTO ALLA NORMATIVA PER LA DISCIPLINA DELL’AFFILIAZIONE COMMERCIALE

LEGGE 6 maggio 2004, n. 129

A CURA DELLA DOTT.SSA LUISA BARRAMEDA – Coordinatrice Nazionale Federfranchising

La “Normativa per la disciplina dell’affiliazione commerciale”, legge n. 129, approvata il 21 aprile 2004 dal Senato della Repubblica Italiana è diventata applicabile con la sua pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale” n.120 del 24 maggio.
Il 21 aprile 2004 la 10ª Commissione permanente del Senato della Repubblica approvava in sede deliberante ed in via definitiva la proposta di legge sull’affiliazione commerciale (Franchising). Il testo della proposta di legge approvata si intitola “Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale” e consta di 9 articoli.
Esattamente un anno dopo dalla trasmissione della 10ª Commissione permanente del Senato alla Camera dei Deputati del Disegno di Legge sulla disciplina dell’affiliazione commerciale (testo unificato dei disegni di legge n. 19-25-103-842), il citato testo ritornava ancora al Senato, ma questa volta con le importanti modifiche introdotte dalla 10ª Commissione permanente della Camera. E’ sembrava che l’iter dovesse ricominciare. Ma con sorpresa nel giro di pochi giorni il disegno di legge è stato varato.
Ritornando indietro con la memoria, possiamo notare come per più di trent’anni di operazioni commerciali attraverso contratti di affiliazioni, queste sono state realizzate senza un quadro legislativo specifico, mentre, dal 1997 ad oggi, nel Parlamento italiano si sono succedute circa dieci proposte di legge sull’argomento. Dal complesso delle tante proposte di legge fin allora vagliate, la 10ª Commissione permanente del Senato della Repubblica nel luglio del 2000 è arrivata ad approvare per unanimità un testo unificato, che, a causa della convocazione di nuove elezioni parlamentari, non aveva ricevuto l’approvazione della precedente Camera dei Deputati. Durante la presente legislatura (XIV) le stesse Commissioni di Industria, sia al Senato che alla Camera, hanno ripreso ed ampliato alcune di quelle proposte presentate nel 2000, in virtù di accordi tra maggioranza ed opposizione, con la volontà comune di presentare un testo unificato per giungere ad una leggee definitiva.
Prima di addentrarci nel contenuto normativo di quest’ultimo testo approvato, è d’obbligo ricordare che il legislatore italiano, nell’intento di elaborare un disegno di legge sull’affiliazione, si è adeguato ai Paesi che hanno già disciplinato questa materia, sia per quanto riguarda il contenuto, sia per quel che attiene alla snellezza della forma.
Gli Stati Uniti, Canada, Francia, Spagna e Messico, solo per citarne alcuni, hanno scelto di legiferare sull’affiliazione, non dal punto di vista strettamente contrattuale come era successo in qualche proposta di legge presentata anni addietro in Italia, ma seguendo una disclosure law, cioè il complesso di informazioni che l’affiliante deve fornire all’affiliato prima della sottoscrizione del contratto. Ci si deve congratulare con la Commissione per aver steso un disegno di legge fondato sui vari aspetti dell’informazione tra le parti tale da poter tutelare il sistema dell’affiliazione ed, in particolar modo, la parte più debole, l’affiliato. Sarebbe stato un grande errore, infatti, cercare di basare la nuova legislatura del franchising sul contenuto del contratto, dal momento che ogni formula di affiliazione ha delle caratteristiche particolari che difficilmente possono essere inserite in un quadro normativo. Anche se ormai possiamo contare su una legge definitiva che regolamenta questa formula commerciale, con la presente analisi si intende presentare le novità che la approvazione del disegno di legge introduce nel panorama dell’affiliazione in Italia. Analiziamo pertanto il testo normativo sull’affiliazione commerciale in vigore che è composto di nove articoli.
L’articolo 1 contiene le definizioni che, secondo la legge, sono attinenti all’affiliazione commerciale in Italia. Questo articolo è diviso in tre paragrafi, al paragrafo 1 si descrive l’affiliazione commerciale (franchising) come quel contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi.
La definizione di affiliazione commerciale sopra descritta è di somma importanza per aiutare a rendere più trasparente ai potenziali operatori del settore cosa si intende per rapporto di affiliazione. Questa definizione dà per certo che il contratto di affiliazione è sottoscritto da due personalità giuridiche indipendenti tra di loro e che ci deve essere tutta una serie di necessarie specifiche per la commercializzazione di beni o servizi che approfondiremo lungo il testo. E’ doveroso congratularsi con il legislatore perché, con la scadenza del Regolamento CE 4078/88 (come tale direttamente applicabile in Italia), eravamo rimasti senza una definizione normativa che favoriva un esagerato proliferarsi di reti denominate “in franchising” senza la definizione degli elementi che devono caratterizzarle.
Inoltre, con questa definizione il presente testo normativo sarà applicabile anche a quelle reti che, pur non denominandosi in “franchising”, utilizzano tutti gli elementi su elencati, ad esempio quelle reti che stipulano contratti in conto vendita o con altre denominazioni, ma comunque riconducibili alla formula franchising. La conseguenza di tipicizzare questi contratti non denominati in “franchising” comporterà una maggior tutela agli affiliati di questi tipi di reti commerciali. Pertanto, alle aziende che fino ad oggi operavano con contratti non denominati in franchising, ma con gli elementi che caratterizzano tale formula, saranno applicate le disposizioni della presente legge e le stesse dovranno adeguare di conseguenza i loro contratti.
Al paragrafo 2 del presente articolo 1, il legislatore considera applicabile la formula dell’affiliazione commerciale a tutti i settori economici. Si può affermare che la formula dell’affiliazione può essere applicata a tutti i settori economici: basta far un giro per le nostre città ed osservare la quantità di negozi gestiti attraverso questa formula che appartengono alle più varie tipologie, dai prodotti per i neonati fino ai servizi di pompe funebri, dai servizi di assistenza per le reti fognarie fino ai servizi di riparazioni veloci di marmitte, dalle erboristerie ai supermercati, e così via. Ma bisogna stare attenti perché, sebbene la formula dell’affiliazione possa essere utilizzata in tanti settori diversi, prima di avviare un’attività attraverso l’affiliazione è da considerare attentamente l’idoneità e le potenzialità di sviluppo della medesima.
Al paragrafo 3, vengono invece elencate le definizioni di know-how, diritto di ingresso, royalties e beni dell’affiliante. Per know-how si intende un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato; per segreto, che il know-how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è generalmente noto né facilmente accessibile; per sostanziale, che il know-how comprende conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali; per individuato, che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità.
Sempre con riferimento al “know-how”, il legislatore ha ripreso la definizione che del medesimo fornisce il Regolamento CE 2790/99, introducendo rispetto al citato regolamento una piccola modifica relativa all’aspetto sostanziale. Nel nuovo testo, infatti, s’intendono sostanziali anche le conoscenze indispensabili per la gestione o l’organizzazione dei beni contrattuali; quest’inciso è stato introdotto sicuramente in relazione alle reti di affiliazioni che hanno come oggetto le prestazioni di servizi.
Forse, dopo tanti anni che la formula dell’affiliazione è presente in Italia, può sembrare perfino ovvio parlare dell’importanza che riveste il know-how all’interno di un’attività di affiliazione, ma fino ad oggi, forse proprio per l’assenza della tipicità del contratto di affiliazione, abbiamo assistito alla creazione di reti dove il know-how non esisteva o era poco esperimentato, con le ben note conseguenze negative per l’affiliazione.
Adesso, con questo testo normativo, tante aziende si renderanno conto che sono costrette prima ad avere un know-how e dopo ad inserirlo nel contratto di affiliazione che sottoporranno ai loro affiliati. L’affiliante, prima di avviare una rete di affiliazione dovrà, quindi, aver esperimentato la sua attività in modo tale di acquisire l’esperienza necessaria, sia dal punto di vista del prodotto o del servizio che intende distribuire, sia dal punto di vista gestionale del suo esercizio commerciale. Senza tale sperimentazione non è possibile considerare nessuna attività suscettibile di essere sviluppata attraverso la formula dell’affiliazione, anzi si può affermare che senza know-how non esiste affiliazione che regga. Questo patrimonio, che la presente legge intende derivante dalla esperienza dell’affiliante, è essenziale per assicurare il successo del marchio concesso agli affiliati e per garantire agli affiliati stessi una posizione sul mercato più conveniente di quella che avrebbero scelto mettendosi in proprio. L’affiliante trova nel know-how le conoscenze indispensabili per lo sviluppo della sua azienda e per l’affermazione del marchio sul mercato, da l’altra parte, l’affiliato riceve dal know-how dell’affiliante l’esperienza necessaria per essere più competitivo.
L’assenza di un vero e proprio know-how potrà, con l’approvazione della legge, essere motivo di contenzioso tra le parti, nel caso in cui l’affiliato consideri che, per tale assenza, non era in grado di poter gestire l’attività concessa attraverso l’affiliazione.
Sempre al paragrafo 3, il legislatore fornisce la definizione di “diritto di ingresso” (comunemente definito anche fee o diritto di entrata) come una cifra fissa da versare al momento della stipula del contratto di affiliazione. Sarà l’affiliante a determinarne l’importo: la legge non entra nel modo in cui l’affiliante dovrebbe calcolare l’ammontare del diritto di ingresso, specifica soltanto che tale cifra fissa sarà rapportata anche al valore economico ed alla capacità della rete. Ci si augura che l’affiliante abbia il buon senso di calcolare l’ammontare in base al valore del marchio ed alle potenzialità della rete in affiliazione, e non pretendere cifre astronomiche non rapportabili ai valori indicati dal legislatore.
Per quanto riguarda le definizioni di “royalties” e “beni dell’affiliante”, il legislatore stabilisce che ciò dovrà essere ben descritto nel contratto di affiliazione. Anche l’obbligo di specificare su quel contratto questi elementi consentirà maggior sicurezza giuridica perché fino ad oggi esistevano dei contratti dove non erano molto chiare né le royalties da corrispondere da parte dell’affiliato né la gamma di prodotti o servizi dell’affiliante. Per royalties, si intende la percentuale che l’affiliante richiede all’affiliato, commisurata al giro d’affari di quest’ultimo o in quota fissa. A rigor di legge, le royalties potranno anche essere versate periodicamente in quote fisse. Per beni dell’affiliante, la legge intende quei prodotti realizzati dall’affiliante stesso, o secondo le sue istruzioni, e contraddistinti con il marchio dell’affiliante.
L’articolo 2 fornisce l’ambito di applicazione della legge. Dal contenuto di questo articolo è comunque molto chiara l’applicabilità della legge anche ai contratti di affiliazione principale, comunemente conosciuti come “accordi di master franchising”, ed anche ai contratti di “corner franchising”. Ad oggi essendo tante le aziende che operano in Italia attraverso contratti di affiliazione commerciale principale, l’applicazione della legge anche a questi contratti non può che favorire la trasparenza di questi tipi di rapporti.
Gli accordi di master franchising sono quelli nei quali una azienda affiliante concede ad un’altra, affiliato principale (o master franchisee), dietro corrispettivo economico, il diritto di sfruttare un’affiliazione commerciale allo scopo di stipulare accordi di affiliazione commerciale con terzi (affiliati o franchisee). Mentre i contratti di corner franchising sono quelli nei quali una azienda affiliante concede al titolare di un’attività commerciale l’opportunità di sviluppare all’interno della suddetta attività la commercializzazione dei suoi prodotti o servizi attraverso l’affiliazione. Riguardo quest’ultima formula commerciale, il legislatore avrebbe dovuto inserire specificatamente la denominazione “corner franchising”, dal momento che non è corretto che si citi l’oggetto del contratto e se ne dia una definizione senza precisarne la denominazione effettiva con cui si stipulano poi i contratti di affiliazione.
L’articolo 3 è diviso in tre paragrafi relativi alla forma e contenuto del contratto. Al paragrafo 1, per quanto riguarda la forma del contratto in oggetto, la legge stabilisce che esso debba essere redatto per iscritto a pena di nullità. Pertanto saranno nulli tutti i contratti di affiliazione che non abbiano la forma scritta.
Per quanto attiene al paragrafo 2, la legge stabilisce che, per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale, l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale. Il legislatore richiede la sperimentazione della formula, ma non precisa per quanto tempo, al riguardo è bene ricordare che nella attuale legge è stato modificato il contenuto rispetto al testo approvato al Senato nel 2000.
Il precedente testo esigeva la necessità di due anni di esperienza e due punti vendita. Eliminare l’obbligo di sperimentazione per almeno due anni può soltanto produrre altri esempi di reti che metteranno a repentaglio il settore come accade da tanti anni: basta una lettura degli annuari di franchising per confrontare l’insuccesso di tante insegne che si sono improvvisate sul mercato senza nessun tipo di sperimentazione. Inoltre, il legislatore dovrà spiegare come farà l’affiliante a calcolare, senza aver sperimentato la formula, il diritto d’ingresso e le royalties che dovranno essere corrisposti dall’affiliato di cui al articolo 1.3 del presente testo. Un’altro aspetto che il legislatore dovrà spiegare è quello dell’esistenza del know-how in una rete che non è stata mai esperimentata, perché in questo caso l’affiliazione rischia di perdere il suo elemento cardine per antonomasia: senza know-how non esiste l’affiliazione perché l’affiliato non riceverà le conoscenze necessarie per gestire l’attività oggetto del contratto con l’affiliante.
Infine, non si capisce come mai, rispetto alla proposta precedente, nella presente sia stata eliminata la richiesta di due anni di sperimentazione, includendo però l’obbligo da parte dell’affiliante di comunicare all’affiliato i dati economici relativi ad almeno tre anni di esercizio secondo quanto previsto all’articolo 4 (lett. a), e) ed f)) della legge in oggetto. Con quale criterio è stato scelto il termine dei tre anni?.
Al paragrafo 3 si stabilisce che per i contratti a tempo determinato, l’affiliante dovrà comunque garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni. Si emana pertanto l’obbligo della durata minima del contratto che non potrà essere inferiore a tre anni, tempo che il legislatore considera sufficiente per l’ammortamento degli investimenti da parte dell’affiliato. Infine, al paragrafo 3 si prevede l’ipotesi di risoluzione anticipata per inadempienza di una delle parti; ma la sua citazione risulta superflua in quanto già contenuta nel Codice Civile ed applicabile pertanto anche a questa tipologia di contratti.
Mentre al paragrafo 4, si stabilisce che il contratto di affiliazione deve espressamente indicare una serie di contenuti che sono: a) l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività; b) le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, e l’eventuale indicazione di un incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato; c) l’ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante; d) la specifica del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato; e) le eventuali modalità di riconoscimento dell’apporto di know-how da parte dell’affiliato; f) le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione ed allestimento, formazione; g) le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso.
Per quanto riguarda i contenuti che espressamente deve prevedere il contratto di affiliazione, il legislatore è stato molto chiaro anche se da quell’elenco scaturiscono le stesse domande poste in precedenza in merito all’eliminazione dell’obbligo di sperimentazione per almeno due anni ed alla presenza di due punti vendita. Come è possibile specificare sul contratto di affiliazione le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties e l’eventuale indicazione di un incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato senza tale sperimentazione? Come si può specificare il know-how dell’affiliante senza tale sperimentazione? La prassi contrattuale ed anche i contenziosi dimostrano che non è fattibile.
Comunque le aziende affilianti già operative dovranno verificare che i loro contratti di affiliazione siano in linea con quanto richiesto dalla legge in questo articolo. Tenuto, inoltre, conto che parte di quanto in essi contenuto viene sviluppato nel manuale operativo, sarà opportuno aggiornare anche il contratto di affiliazione insieme al manuale. Di solito, alcuni dei contenuti citati nella legge come le modalità di assistenza tecnica e commerciale, l’allestimento e le specificità del know-how vengono citati sul contratto, ma sviluppati nel manuale operativo.
Quanto sopra consentirà di chiarire e di tutelare al meglio i rapporti tra l’affiliante e l’affiliato attraverso il contratto di affiliazione e questo favorirà la trasparenza nei rapporti limitando le truffe realizzate in nome del franchising.
L’articolo 4 relativo agli obblighi dell’affiliante è diviso in due paragrafi. Rappresenta uno dei articoli più importanti della legge per prevedere, non solo gli obblighi dell’affiliante, ma soprattutto per stabilire che almeno trenta giorni prima della sottoscrizioni del contratto di affiliazione l’affiliante deve consegnare all’aspirante affiliato copia completa del contratto da sottoscrivere, corredato da alcuni allegati, ad eccezione di quelli per i quali sussistano obiettive e specifiche esigenze di riservatezza, che comunque dovranno essere citati nel contratto. Gli allegati sono: a) principali dati relativi all’affiliante, tra cui ragione e capitale sociale e, previa richiesta dell’aspirante affiliato, copia del suo bilancio degli ultimi tre anni o dalla data di inizio della sua attività, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni; b) l’indicazione dei marchi utilizzati nel sistema, con gli estremi della relativa registrazione o del deposito, o della licenza concessa all’affiliante dal terzo, che abbia eventualmente la proprietà degli stessi, o la documentazione comprovante l’uso concreto del marchio; c) una sintetica illustrazione degli elementi caratterizzanti l’attività oggetto dell’affiliazione commerciale; d) una lista degli affiliati al momento operanti nel sistema e dei punti vendita diretti dell’affiliante; e) l’indicazione della variazione, anno per anno, del numero degli affiliati con relativa ubicazione negli ultimi tre anni o dalla data di inizio dell’attività dell’affiliante, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni; f) la descrizione sintetica degli eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali, promossi nei confronti dell’affiliante e che si siano conclusi negli ultimi tre anni, relativamente al sistema di affiliazione commerciale in esame, sia da affiliati sia da terzi privati o da pubbliche autorità, nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy;
L’affiliante è obbligato a consegnare al potenziale franchisee una copia del contratto da sottoscrivere, la legge è chiara e stabilisce che sia copia completa del contratto, questo significa che la copia presentata sarà identica a quella che in finale andrebbe a sottoscrivere, pertanto non può essere un fac-simile senza allegati. L’affiliante, invece, per motivi di riservatezza potrà non consegnare al potenziale franchisee gli allegati che consideri opportuno non divulgare in quella fase, ma resta chiaro che comunque dovranno essere citati nel contratto di affiliazione.
Il fatto che l’affiliante debba fornire al potenziale affiliato una copia completa del contratto da sottoscrivere insieme a tutti gli allegati sopra elencati assicura una tutela più ampia per l’affiliato. L’affiliato avrà così la possibilità di esaminare insieme ad un esperto quelle informazioni che lo aiuteranno ad avere una visione reale dell’insegna alla quale intende affiliarsi, informazioni che consentiranno inoltre di valutare l’esistenza dell’insegna, l’attività in oggetto, la consistenza della rete ed i motivi degli eventuali ultimi procedimenti giudiziari o arbitrali in cui è stato coinvolto l’affiliante. Bisogna però ricordare che, anche se le informazioni fornite contribuiranno a capire meglio la fattibilità del progetto, ciò non eviterà il rischio di impresa rappresentato dal mettersi in proprio.
Infine, sebbene tutti i contenuti presenti nell’elenco di questo articolo siano essenziali per capire al meglio la veridicità e la consistenza di una rete di affiliazione, esiste un contenuto importante quanto il know-how: quello relativo all’indicazione dei marchi. Quante volte capita di leggere un contratto di affiliazione dove non esiste un riferimento sul deposito e sulla registrazione del marchio e, ancora peggio, si scopre che il marchio non è stato registrato o che lo stesso sia oggetto di contenzioso in quanto qualcuno prima dell’affiliante già lo aveva registrato. Con quanto sopra va riconosciuto al legislatore di aver individuato un altro aspetto essenziale per la tutela del sistema di affiliazione e soprattutto per il potenziale affiliato.
Al paragrafo 2 il legislatore ha previsto, per le insegne straniere che sviluppano formule di affiliazione in Italia attraverso filiali o accordi di affiliazioni principali, l’obbligo di fornire le informazioni richieste alle lettere d), e) ed f) del paragrafo 1 soltanto per quanto riguarda il territorio italiano. Sarà un decreto del Ministro delle Attività Produttive a definire le informazioni che dovranno fornire gli affilianti i cui marchi siano di origine estera.
L’articolo 5 prevede gli obblighi dell’affiliato, questo da parte sua, non può trasferire la sede, qualora sia indicata nel contratto, senza il preventivo consenso dell’affiliante se non per causa di forza maggiore.
L’affiliato si impegna, inoltre, ad osservare e a far osservare ai propri collaboratori e dipendenti, anche dopo lo scioglimento del contratto, la massima riservatezza in ordine al contenuto dell’attività oggetto dell’affiliazione commerciale. L’affiliante, in questo senso, può tutelarsi inserendo nel contratto di affiliazione clausole relative all’osservanza di riservatezza, sia da parte dell’affiliato e dei suoi soci, sia da parte dei dipendenti in relazione al know-how ed all’attività oggetto del contratto, sempre tenendo conto che l’obbligo di riservatezza non può essere superiore ad un anno dopo lo scioglimento del contratto di affiliazione.
L’articolo 6 prevede gli obblighi precontrattuali di comportamento di entrambi le parti. L’affiliante e l’affiliato debbono tenere, l’uno nei confronti dell’altro, un comportamento ispirato a buona fede, lealtà e correttezza e devono prestare ogni dato e informazione che ritengano necessaria o utile ai fini della stipulazione del contratto di affiliazione commerciale. Come già anticipato all’articolo 4 della presente legge, l’affiliante può non fornire all’affiliato informazioni che ritenga riservate, ma dovrà motivare tale mancata informazione. Anche questo articolo si è ispirato alle legislazioni francese e spagnola riguardo alle regole di comportamento che l’affiliante e l’affiliato devono rispettare durante la fase precontrattuale.
L’articolo 7 prevede la conciliazione tra le parti. Per le controversie relative ai contratti di affiliazione commerciale le parti possono convenire che, prima di adire l’autorità giudiziaria o ricorrere all’arbitrato, sia esperito un tentativo di conciliazione presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui territorio ha sede l’affiliato. Le aziende affilianti che intendano esperire tale tentativo di conciliazione dovranno includere quella clausola nel contratto di affiliazione.
L’articolo 8 è relativo all’annullamento del contratto. La parte che ritiene di aver ricevuto false informazioni durante il rapporto di affiliazione può sollecitare l’annullamento del contratto con tutte le sue conseguenze ai sensi dell’articolo 1439 del Codice Civile.
L’articolo 9 prevede le norme transitorie e finali. Dalla entrata in vigore della legge, le sue disposizioni saranno applicate a tutti i contratti di affiliazione in corso nel territorio italiano, inoltre, tutti i contratti di affiliazione non formalizzati per iscritto si dovranno stipulare nuovamente ai sensi dell’articolo 3.1. Anche, tutte le trattative in corso per stipulare contratti di affiliazioni dall’entrata in vigore della legge dovranno rispettare il contenuto normativo della presente.
A questo punto, tutte le aziende affilianti dovranno verificare che il contenuto dei loro contratti rispetti quanto stabilito all’articolo 3 della legge ed, alla luce di quanto richiesto all’articolo 4, dovranno studiare il modo più confacente alla riservatezza del loro know-how per comunicare al potenziale affiliati tutti gli allegati relativi alla fase precontrattuale.
Sarebbe opportuna, per le aziende già operative, la redazione di un documento precontrattuale che contenesse tutti gli allegati che secondo la legge devono essere consegnati prima della sottoscrizione del contratto al potenziale affiliato; questo documento potrebbe essere redatto con l’assistenza di un esperto che ne proteggesse le esigenze di riservatezza per l’azienda. Certamente questo documento dovrà, come il proprio contratto di affiliazione, avere carattere individuale perchè non è possibile l’esistenza di un documento tipo per tutte le aziende, in quanto ognuna ha il suo specifico know-how. Pertanto, è consigliabile in questa fase iniziale di applicazione della legge che le aziende già operative o in procinto di esserlo, verifichino i documenti contrattuali ed i manuali operativi delle loro insegne.
Con questo nuovo testo normativo approvato al Senato abbiamo finalmente ottenuto ciò che si voleva? La risposta è sì, ma con qualche rammarico dato dall’eliminazione nel testo approvato dalla 10ª Commissione della Camera di alcuni aspetti essenziali per la tutela del settore e soprattutto dell’affiliato.
Per prima, la soppressione, nell’ambito della costituzione di una nuova rete di affiliazione del periodo minimo di due anni e di due punti vendita, soppressione non richiesta nelle ripetute audizioni alla Camera ed al Senato da parte della Federazione Italiana del Franchising – Confesercenti.: questa variazione nel testo legislativo non aiuterà alla crescita seria e professionale che merita il settore dell’affiliazione nel nostro Paese, soprattutto quando è continua la nascita e morte prematura di tante aziende che si improvvisano affilianti con le penose conseguenze non solo per l’intero compatto dell’economia in termini di disoccupazione, ma in primis per l’affiliato che si vede il più delle volte coinvolto in situazioni truffaldine.
Un altro aspetto che si poteva modificare a beneficio di tutti gli operatori, ma che non è stato modificato, riguarda la conciliazione. In questo senso, la Federazione Italiana del Franchising – Confesercenti aveva chiesto di mettere a disposizione delle parti, eventualmente in conflitto tra di loro, le associazioni di categoria maggiormente rappresentative del franchising proprio per la specifica conoscenza della formula commerciale. La presenza di una sede di conciliazione all’interno delle associazioni di categoria non avrebbe comportato nessun tipo di concorrenza con le camere di commercio, avrebbe anzi potuto evitare la mancanza di tutela lì dove le camere di commercio non fossero adeguatamente strutturate (si pensi solo al ridotto numero di CCIAA in grado di effettuare atti di conciliazione e soprattutto alla delicata materia dell’affiliazione dove si richiede l’esperienza di esperti del settore capaci di individuare gli elementi che possano comportare crisi per una rete di affiliazione).
Concludiamo augurandoci che, dopo queste lunghissime discussioni del testo sia alla Camera che al Senato, questa legge possa finalmente dare certezze ad un intero sistema commerciale che ne ha tanto bisogno. Sono decine di migliaia di operatori che aspettavano da tempo un quadro normativo alla pari dell’importanza che l’affiliazione rappresenta sul mercato italiano.


IL PERIODO TRANSITORIO PER I CONTRATTI DI FRANCHISING SECONDO LA LEGGE 129/2004

A CURA DELL’AVV. PAOLO PARISI – CABINA DI REGIA Federfranchising

Dal 25 maggio 2004 ogni contratto di affiliazione commerciale (meglio conosciuto come Franchising) in corso nel territorio italiano dovrà attenersi alle prescrizioni della Legge n. 129 del 6 maggio 2004, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 120 del 24 maggio 2004 (di seguito “Legge”).
Infatti con la suddetta Legge si è cercato di porre maggior chiarezza in un settore che ha esordito in Italia con alcune reti di affiliazione commerciale agli inizi degli anni ’70 e che per un lungo periodo di tempo, sin a maggio 2004 !!!, ha dovuto elemosinare la propria disciplina da altri istituti giuridici che mal rappresentavano la sua specificità, dando luogo alle più ardite interpretazioni a danno proprio del Franchising e dei suoi operatori o di chi si fregiava di questa etichetta impropriamente.
La disciplina delle affiliazione commerciali con un apposito provvedimento legislativo, introduce finalmente il contratto di Franchising tra i contratti tipici dell’Ordinamento giuridico italiano, prevedendo peculiari disposizioni alle quali si debbono attenere le parti contraenti.
L’art. 9 del provvedimento legislativo prevede, inoltre, delle disposizioni transitorie per coloro che alla data di entrata in vigore della Legge, hanno già concluso un accordo nell’ambito del Franchising, sia esso in forma scritta o verbale. Dall’analisi del suddetto articolo si possono sintetizzare le seguenti fattispecie e i relativi adempimenti ai quali le parti interessate sono tenute.

1) Contratti di affiliazione commerciale in essere alla data di entrata in vigore della Legge e non stipulati con la forma scritta. E’ il caso di accordi non formalizzati o verbali attraverso i quali le parti contraenti avevano deciso di avviare un rapporto di affiliazione commerciale non supportato da alcun contratto debitamente sottoscritto dalle parti. In adempimento a quanto previsto dalle norme transitorie i contraenti sono tenuti entro il 25 maggio 2005 a formalizzare il loro accordo ai sensi della Legge, pena la nullità dell’accordo posto in essere.
2) Contratti di affiliazione commerciali già stipulati alla data di entrata della legge in forma scritta ma non conformi alle prescrizioni legislative. Anche in questo caso, i contraenti entro il 25 maggio 2005 debbono adeguare i loro accordi in conformità alla disciplina legislativa.
3) Contratti di affiliazione commerciali già stipulati alla data di entrata in vigore della legge con la forma scritta e già conformi alle prescrizioni legislativa. Non sono tenuti per legge ad alcun adeguamento salvo la volontà delle parti di effettuare una scambio formale di note con le quali confermano di porre espressamente il rapporto intercorrente sotto l’egida della sopravvenuta legge di settore.

Oltre alla verifica della forma scritta di cui sopra, chi ha un contratto di Franchising dovrà valutare l’adeguatezza del proprio contratto in essere alle nuove regole e dovrà accertare se all’interno dei contratti stessi vengono indicati:
· L’ammontare delle spese e degli investimenti iniziali dell’affiliato;
· Il modo di determinazione delle royalties;
· Esclusiva territoriale (eventuale)
· La specifica del know-how fornito dall’affiliante;
· La specifica delle prestazioni di servizi rese dall’affiliante in tema di assistenza tecnica e commerciale;
· Le condizioni di rinnovo e di risoluzione del contratto;
· La durata a tempo indeterminato ovvero con un termine minimo di tre anni ( o comunque pari all’ammontare degli investimenti dell’affiliato).
Nel caso in cui uno solo dei suddetti elementi non dovesse essere presente, affiliante e affiliato debbono provvedere ad adeguare il loro contratto per evitare rischi di pronunce di nullità possibili in ogni tempo su iniziativa di ciascuna parte interessata.
Una questione potrebbe essere sollevata sul fatto che l’affiliato che abbia già concluso un contratto di Franchising alla data di entrata in vigore della legge (25 maggio 2004), abbia o meno il diritto di ottenere anche la documentazione prescritta dall’art. 4 della Legge (e cioè i dati relativi all’impresa affiliante, bilanci degli ultimi tre anni di quest’ultima, documentazione sui marchi, stato della rete di distribuzione commerciale, informativa su contenziosi ecc.) che consente all’aspirante affiliato di valutare la solidità della rete di Franchising alla quale intende affiliarsi. Ritenendo superata la fase precontrattuale con i relativi obblighi sanciti dalla Legge, si può dare una risposta negativa con salvezza, comunque, dei diritti riconosciuti all’affiliato dalla normativa vigente anche con riferimento all’annullamento del contratto (art. 8 della Legge).
In conclusione, per gli affilianti e affiliati che abbiano un rapporto di Franchising in corso alla data di entrata in vigore della Legge, per evitare di avere un “contratto fuori legge”, è consigliabile effettuare tempestivamente un’attenta verifica della conformità del loro accordo prima del termine prescritto (25 maggio 2005) in modo tale di avere un legittimo Contratto di affiliazione commerciale (Franchising) .


LEGGE SUL FRANCHISING: WHAT IF?

A CURA DELL’AVV. NICOLA PASSERINI – CABINA DI REGIA Federfranchising

Una delle “speculazioni filosofiche” tipiche è il ragionare per assurdo sul cosa sarebbe successo al variare di una delle tante componenti che compongono le umane vicende, cosa sarebbe potuto accadere di diverso nella nostra vita se solo, col senno di poi, si fosse potuto operare scelte diverse, dal “cosa sarebbe accaduto se Napoleone avesse vinto a Waterloo” al più prosaico e simpatico film Sliding Doors.
Il Franchising oggi ha un nuovo strumento, la Legge 129/2004, importante perchè fornisce per la prima volta dopo tanta attesa delle definizioni chiare, regolamenta in modo essenziale il dialogo precontrattuale tra le due parti del contratto.
E’ esperienza di molti e fatto sicuramente noto ai più, non necessariamente operatori del settore, che il Franchising proprio per questa assenza di definizioni e di punti certi di riferimento, si è prestato negli anni a ingenerare problemi se non addirittura a mascherare vere truffe.
E allora, lanciamoci in una analisi ex post di quello che sarebbe potuto accadere in una reale situazione se, al tempo della firma di un contratto “critico” fosse stata in vigore l’attuale Legge 129/2004.
La Società Alfa – nome evidentemente di fantasia – propone, attraverso rutilanti siti internet e brochure patinate, una attività di franchising dai sicuri rendimenti a fronte di un investimento non eccessivo e con una attività difficile da intuire, dietro gli slogan e le tante parole.
Si intuisce che l’attività che gli affiliati andranno a svolgere sarà relativa allo sviluppo delle nuove tecnologie e le nuove frontiere commerciali offerte da Internet.
Incuriosito da tale presentazione, non priva di un certo “fascino del mistero”, il Sig. Beta – attualmente lavoratore dipendente, con esperienza nel settore della realizzazione di siti internet e grafica computerizzata – anche allo scopo di veder soddisfatta la propria curiosità circa la non chiara attività offerta dall’affiliante, contatta a mezzo posta elettronica il proponente. Dopo poco tempo, per lo stesso tramite giunge una risposta altrettanto evasiva, densa di riferimenti alla New Economy e al futuro ma priva di riferimenti pratici, con la proposta di un incontro per parlare di persona con un agente commerciale. L’incontro avviene, viene specificato che si tratterà di costruire siti internet sulle specifiche di clienti già acquisti dal Franchisor, verrà consegnato un certo tipo di materiale tecnico, e solo alla fine spunta fuori il contratto da firmare.
L’aspirante affiliato non ha esperienza di contratti, non è assistito da qualcuno più esperto di lui, l’affare appare buono e il contratto è lì davanti; le rassicurazioni dell’agente circa l’attività da svolgere sono efficaci, una firma e il contratto è stipulato! Segue il pagamento delle quote concordate, la consegna di materiale promozionale e l’attività può partire.
E partono, invece, i problemi: l’attività effettivamente richiesta è differente da quanto concordato. Non si tratta di lavorare sul materiale e su clienti acquisiti ma svolgere attività di procacciamento di clientela.
I costi concordati vengono superati da ulteriori voci relative a materiali o contributi pubblicitari.
A questo punto, contattato un avvocato, il Sig. Beta chiede di veder chiaro nel rapporto che ha creato con la Alfa.
Il contratto, incredibilmente, non dice alcunchè circa l’attività oggetto del rapporto. Si scopre che la Società Alfa non ha esperienza (il “know how”) da fornire agli affiliati e che già molte persone, dopo essersi affiliate, hanno adito le vie legali per risolvere i contratti e per il risarcimento dei danni.
Poniamo, ancora, che nel contratto vi fosse una clausola arbitrale, ragion per cui il Sig. Beta si troverà anche nel timore di ingenti spese legali da sostenere per veder soddisfatte le proprie ragioni.
Facciamo un passo “indietro nel futuro”: cosa sarebbe successo di diverso se quanto raccontato fosse avvenuto oggi, con la protezione della Legge 129/04?
Il grosso del problema tra Franchisor e Franchisee nasce dalle informazioni precontrattuali, mirate a dare più una immagine colorita ed appariscente della Alfa che non ha informare correttamente chi si è avvicinato al contratto.
Se la Legge fosse stata in vigore a quel momento, la trattativa avrebbe dovuto specificare – e bene – quale fosse il know how sviluppato il Franchisor, il tipo di assistenza tecnica e commerciale e di formazione fornita, la storia della rete commerciale e dei suoi affiliati.
Infatti, l’art. 4) della Legge sul franchising obbliga il proponente a consegnare – almeno trenta giorni prima della sottoscrizione – copia del contratto che sarà firmato, con allegati tutta una serie di informazioni fondamentali per comprendere il cosa ed il come della attività che si offre: informazioni relative all’affiliante, su richiesta i bilanci degli ultimi tre anni, le licenze o concessioni relative ai marchi, elementi caratterizzanti l’attività della rete, la lista degli affiliati e punti vendita e la loro variazione nel corso del tempo, la descrizione di eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali relativi al franchisng.
Il nostro Signor Beta, alla luce della documentazione, potrà avere un quadro dettagliato e completo della rete cui intenda aderire.
Non solo, il contratto che dovrà sottoscrivere gli sarà presentato trenta giorni prima di essere sottoscritto. Quindi, dovendo aderire ad una proposta, di massima non negoziabile, potrà riflettere sul contenuto dell’accordo, soppesarlo anche per le implicazioni economiche che comporta, eventualmente sottoporlo al consiglio di un consulente del settore.
Andiamo ancora avanti, adesso il nuovo contratto, con le indicazioni e le modalità della nuova Legge, è stipulato; il Sig. Beta è entrato a far parte della rete Alfa e procede allo sviluppo del suo punto vendita.
Potrebbe accadere, comunque, che l’affiliato scopra che le informazioni fornite sono imprecise o, peggio, falsificate. In tal caso è prevista espressamente la sanzione dell’annullamento del contratto, oltre al risarcimento dei danni subiti.
Con un atteggiamento di riguardo verso la parte sicuramente più debole del rapporto di affiliazione, la nuova Legge introduce un tentativo di conciliazione non obbligatorio, al fine di evitare ove possibile il ricorso all’arbitrato o alla magistratura ordinaria per la risoluzione delle controversie.
Con un esplicito rimando alle norme introdotte con la recente riforma del Diritto Societario viene prevista la possibilità per le parti, d’accordo tra loro, di rivolgersi alla camera di conciliazione della Camera di Commercio. Con l’ulteriore favore verso l’affiliato di indicare come competente la sede di appartenenza dell’affiliato.
In conclusione, oggi la Legge 129/04 fornisce alle parti del accordo di Franchising una importante serie di strumenti e di indicazioni per far sì che il rapporto nasca e si sviluppi in modo sano, indicando contenuti minimi e definizioni precise dei contenuti del contratto.
Sicuramente il Franchisee potrà dirsi maggiormente tutelato, con l’ulteriore garanzia fornita dall’applicarsi la nuova legge anche ai contratti in essere alla data di entrata in vigore della Legge.
Con un’ultima notazione importante: il Franchising è e rimane – e non potrebbe essere differentemente – un accordo tra imprenditori, indipendenti l’uno dall’altra, legate dal comune intento di far progredire economicamente la propria attività e la rete di appartenenza, capaci entrambi di determinarsi circa un investimento ed una impresa, con tutti i rischi che l’attività imprenditoriale comporta e che nessuna Legge potrà escludere.


CONCILIAZIONE: UNA SCORCIATOIA PER RISOLVERE LE CONTROVERSIE

A CURA DELL’AVV. PAOLO GRASSI – PARTNER Federfranchising

La peculiarità del rapporto di franchising, nonostante il recente intervento del legislatore che in pratica si limita essenzialmente a favorire una migliore conoscenza delle caratteristiche di impresa del franchisor, continua a determinare non solo controversie di maggiore consistenza, tipiche dei rapporti tra imprese, ma anche tutta una gamma di microconflitti che dipendono dalle specifiche caratteristiche del rapporto di franchising instaurato.
La mancata soluzione di tali controversie minori e l’incancrenirsi di situazioni di conflitto strisciante, derivanti anche da un susseguirsi irrisolto di casi litigiosi, determina poi la progressiva trasformazione di tali situazione di crisi latente in fratture ben più serie che possono addirittura incrinare il rapporto di affiliazione commerciale.
Naturalmente, la soluzione dei conflitti, in genere, specie quelli di entità più rilevante, trova anche nel mondo del franchising sistemi collaudati di giudizio, con una tendenziale preferenza alle clausole arbitrali.
Specie per la microconflittualità, ma anche per le controversie di maggiore consistenza che non presentino però caratteristiche tali da inficiare la legittimità stessa del rapporto, quali quelle che caratterizzano il cosiddetto franchising-truffa, si sta aprendo, oggi, una strada sicuramente più veloce e meno costosa delle soluzioni giudiziali e arbitrali, che è rappresentata dalle cosiddette procedure di conciliazione.
Attenzione però che la conciliazione è qualcosa di profondamente differente, non solo rispetto al procedimento giudiziario, ma anche nei confronti delle procedure arbitrali, con cui ha solo pochi punti di contatto.
Infatti, cominciando da ciò che separa le due procedure, mentre nell’arbitrato le parti demandano ad un soggetto, o ad un collegio di arbitri da esse prescelto, l’accertamento di chi ha ragione in diritto ovvero sulla base di un giudizio di equità, per la soluzione della controversia tra esse insorta, in un procedimento di conciliazione, invece, le parti di una determinata controversia, prescindono dalla necessità di accertare in diritto o sulla base dell’equità chi di esse abbia ragione o torto in ordine al loro contenzioso. Nella conciliazione, le parti in lite puntano, viceversa, ad individuare, con l’ausilio di un terzo soggetto indipendente, (e non di un collegio di soggetti) quali siano i punti di convergenza di interesse economico per la soluzione del conflitto stesso. Al contrario del ricorso ai giudici dello Stato o ad arbitri scelti dalle parte, nella conciliazione la chiusura del conflitto avviene quindi, sia pur tenendo conto degli elementi controversi, sulla base di una soluzione prescelta attraverso l’individuazione di un accordo, che sia il frutto di una convergenza economica e di interessi che elimina i motivi del contendere.
E’ ovvio che la conciliazione ha dei punti di contatto con l’arbitrato perché anche in questo caso anziché presentarsi innanzi ad un giudice precostituito, le parti devono individuare di comune accordo un soggetto competente, che viene da essi incaricato a trovare la soluzione nel senso sopraprospettato.
Tuttavia, anche questo elemento di somiglianza ne fa apparire immediatamente un altro di ulteriore diversità tra le due procedure. Infatti, la competenza di cui deve essere dotato il conciliatore non è quella tecnico-giuridica dell’arbitro, che consente appunto all’arbitro di individuare quale delle parti della controversia abbia ragione o torto secondo diritto o equità, ma deve essere precipuamente finalizzata a consentire di “suscitare”, nelle parti in lite, la “scoperta” di quelle soluzioni che rappresentino il punto di convergenza di interesse economico per l’accantonamento della lite, di cui si perde, in tal modo, l’esigenza di soluzione giuridica o equitativa.
L’evidenziazione del termine “suscitare” riferito alle parti mira a qualificare ulteriormente l’operato del conciliatore, che non solo deve comprendere a fondo le ragioni positive che ciascuna delle parti ha nella controversia e gli sbocchi che entrambe si attendono, ma deve trovare un accordo sugli aspetti controversi anche attraverso un sistema di più colloqui successivi con le singole parti, definito con il termine forse banalizzante di “ping-pong”, ma che dà chiaramente l’idea di cosa il conciliatore sia chiamato a fare in pratica.
Conseguentemente, nel conciliatore devono assommarsi caratteristiche professionali che sono comuni all’arbitro, quali la conoscenza economica-giuridica del mercato in cui operano le imprese in conflitto e la natura delle clausole contrattuali alla base della controversia, ma, inoltre, deve avere delle qualità aggiuntive quali la capacità di intuire, ricavandola dai colloqui tra le parti, quali siano i possibili punti di convergenza economica tra le stesse nonché la capacità di gestione psicologico-tecnica dei colloqui al fine di indirizzare le parti verso quella soluzione che rappresenta il punto di incontro di vantaggio economico ottimale per le stesse.
Naturalmente, l’importanza del ruolo del conciliatore e della conciliazione è stata colta dal Legislatore italiano, oltre che in vari ambiti, quali quello societario e quello giudiziario in genere, proprio nel franchising, attraverso la Legge che lo disciplina di cui si è detto all’inizio e precisamente quella del 6 maggio 2004 n. 129.
A questo proposito, infatti, l’art. 7 della Legge prevede che nei contratti di franchising la parti “possono” convenire che prima di adire l’Autorità giudiziaria o dar corso a procedure arbitrali, si “debba” procedere ad una conciliazione presso la Camera di commercio nel cui territorio ha sede l’affiliato.
La norma della Legge è stata formulata dal Legislatore nel peggiore dei modi perché innanzitutto facoltizza semplicemente i contratti di affiliazione commerciale a prevedere un “obbligo” di ricorso alla conciliazione, con una previsione che al tempo stesso è inutile e dannosa.
“Inutile” perché, facoltizzando la previsione della conciliazione nei contratti, lascia liberi i soggetti interessati di prevedere, o meno, nei contratti di affiliazione commerciale la conciliazione e, per fortuna, tale libertà prevede anche la possibilità di far ricorso ad un diverso tipo di conciliazione, con rinuncia a quello previsto dall’art. 7 della Legge.
“Dannosa”, perché nei contratti può essere prevista solo una conciliazione obbligatoria che, come noto, in tutti gli ambiti in cui è stata prospettata, ha dato corso solamente ad inutili formalità burocratiche, mentre non appare consentita, viceversa, la possibilità di un ricorso facoltativo alla conciliazione che è la sola formula destinata ad aver successo perché si fonda un consenso delle parti a tentare tale strada.
In secondo luogo, la norma di legge appare limitativa perché prevede il ricorso ad una conciliazione che abbia sede presso la Camera di Commercio della località di residenza o di sede dell’affiliato.
Questa ultima limitazione poi, riferita alla sede dell’affiliato, sottoporrebbe gli affilianti ad una moltiplicazione delle possibili sedi di conciliazione in relazione al numero e alla localizzazione dei propri affiliati, con intuibili conseguenze sul favore che, proprio gli affilianti, che predispongono i contratti di franchising, possano giammai riservare a tale brillante soluzione prescelta dal nostro Legislatore.
Per questi motivi la F.I.F. sfruttando la facoltà per fortuna concessa dalla legge (“possono convenire “) ha ripreso in modo più deciso l’idea di porre in essere una Camera di Conciliazione specialistica per il franchising destinata in primo luogo ai propria associati, ma aperta a tutti gli operatori in franchising che lo desiderino.
Tale iniziativa di imminente attuazione, va inquadrata nelle disposizioni ministeriali provenienti dal Dicastero di Giustizia, predisposte nello scorso mese di maggio, che hanno disciplinato per il futuro la possibilità di costituzione di Camere di conciliazione presso enti pubblici o privati e le relative procedure, la figura dei conciliatori e le garanzie di professionalità e deontologiche.
A tal fine, la F.I.F. sta preparandosi agli adempimenti necessari per l’iscrizione al Registro degli organismi autorizzati alla gestione dei procedimenti di conciliazione tenuto dal Ministero della Giustizia, con previsione di un Regolamento che disciplini sia i requisiti per l’ammissione all’elenco dei conciliatori tra cui le parti potranno liberamente scegliere il soggetto di proprio interesse, nonché le regole deontologiche per il conciliatori, quelle di procedura, le tariffe e quant’altro necessario per sviluppare tale servizio per i propri associati e l’intero mondo del franchising italiano.
Infatti, per quanto costituisca un sistema assai snello e rapido di soluzione delle controversie, la conciliazione non può essere affidata a conciliatori scelti con il metodo “fai da te”, che non darebbero soprattutto garanzie di imparzialità e professionalità (nonché di costi contenuti). Viceversa per la sicurezza delle parti in conflitto che intendono ricorrere alla procedura di conciliazione la soluzione della controversia dovrà essere più proficuamente affidata a professionisti inseriti in Sistemi o Camere di conciliazione (meglio se specializzati per settori contrattuali come quello che la Federfranchising si appresta a varare) che diano garanzie di correttezza procedurale, professionalità e indipendenza dei conciliatori e costi contenuti con maggior possibilità quindi che chi litiga pervenga più rapidamente e convenientemente a porre termine al proprio conflitto con un successo reciprocamente ripartito.